Parlare del remake/reboot di Ghostbusters significa, purtroppo e inevitabilmente, parlare anche dei fatti che hanno preceduto la release del film. Casomai qualcuno se li fosse persi (beato lui) questi si possono riassumere in tre momenti fondamentali: gli innumerevoli tentativi, durati anni, per fare un episodio 3 col cast originale, poi risoltisi in un nulla di fatto, vista anche la dipartita di Harold Ramis; l’ideona di fare un reboot con un cast solo femminile; la pubblicazione di un orribile trailer di lancio che viene fatto oggetto di cecchinaggio mediatico da parte di haters che non sopportano il fatto che il team originale venga sostituito da quattro donne, cui segue l’inevitabile polemica su quanto sia diventata sessista/razzista la Rete e quanto siano imbecilli molti nerd.

Così Ghostbusters ha perso la sua connotazione di opera artistica per diventare qualcos’altro, un simbolo che due fazioni contrapposte possono utilizzare come bandiera da issare durante le reciproche battaglie e infatti l’uscita del film in America è stata accompagnata da recensioni spesso incomprensibilmente entusiastiche, che paiono sospettosamente asservite alla tesi di fondo uguale e contraria a quella supportata dagli haters.

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Fatto questo lungo preambolo, non resta che chiedersi come sia venuta fuori questa sciagurata operazione commerciale: male. Ghostbusters è grossolano, insipido e poco divertente. Perfettamente in linea con il secondo, atroce, episodio della saga che avrebbe dovuto, già ai tempi che furono, fermarsi al primo capitolo. I problemi del film sono ovunque ma risiedono in primis nella scrittura, globalmente sciatta, priva di guizzi e incapace di creare battute davvero memorabili. Le cose migliori sono gli ovvi rimandi alla bilogia anni’80, Kate McKinnon, la più simpatica e sopra le righe del nuovo team (abbastanza insopportabili sono invece la Wiig e la McCarthy) e l’oramai brillantissimo Chris Hemsworth, perfettamente a suo agio nei panni di un segretario tanto affascinante quanto idiota.

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Gli effetti speciali sono prevedibilmente straordinari, ma la regia piatta di Feig e l’eccessiva verbosità della parte centrale, peraltro più urlata che parlata (pessima pure l’OST, a parte la riproposizione del tema classico) rendono Ghostbusters un film anonimo e impersonale. Certo, viviamo in tempi sguaiati e quindi anche questa versione potrebbe trovare un suo pubblico. Godibili, almeno per i nostalgici, i camei del cast originale: ci sono davvero tutti compreso Bill Murray, che per anni aveva osteggiato e rispedito al mittente qualsiasi script gli ricordasse l’esistenza del brand.

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Diciamola tutta: se non fosse stato accompagnato dal can can “social” degli ultimi mesi, questo nuovo Ghostbusters sarebbe passato del tutto inosservato.

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Ghostbusters, nella sua ectoplasmatica inconsistenza, è però utile perchè mostra i palesi limiti di scrittura che attanagliano la stragrande maggioranza delle commedie cinematografiche americane, un dato paradossale e assurdo, se si considera quante ottime comedy televisive ci sono in giro. Sembra incredibile che un Paese che ha creato prodotti come Friends, The Big Bang Theory, How I Met Your Mother e tante altre, non riesca a produrre annualmente più di due o tre pellicole davvero divertenti: forse far ridere oggi è diventato molto più difficile che in passato e allora sì, un po’ di rimpianti per le opere di Ivan Reitman, Mel Brooks e del trio ZAZ (Zucker-Abrahams-Zucker) ci possono stare.

Anche stavolta insomma, s’è fatto molto rumore per nulla.



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Andrea Chirichelli

Classe '73. Giornalista da tre anni, ha offerto il suo talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic e a decine di siti che ovviamente lo hanno evitato con anguillesca agilità. Ha in forte antipatia i fancazzisti, i politici, i medici, i giornalisti e soprattutto quelli che gli chiedono foto.

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